Otto milioni di persone non vogliono avere rapporti con generazioni diverse dalla propria. ricerca del Censis, articolo  di Lorenzo Bandera in secondowelfare.it

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Mappe nel Sistema dei Servizi alla Persona e alla Comunità

un difficilissimo rapporto tra generazioni. Secondo la ricerca Censis sono 2,3 milioni gli italiani che se non trovano un medico della propria età vanno in un altro studio o rinunciano alla visita. 3,8 milioni sono quelli che rinviano o riunciano agli acquisti in assenza di un commesso della propria età. 5,2 milioni quelli che non accettano consigli personali da una persona di una età diversa dalla propria. 7,4 milioni coloro che, piuttosto che partire per le vacanze con persone di altre generazioni, preferiscono restare a casa. E la musica non cambia sul lavoro: sono 7,5 milioni gli occupati che preferiscono avere rapporti con lavoratori della propria età e 4,6 milioni coloro che ai corsi di formazione vogliono solo propri coetanei.

Gli «isolazionisti» sono soprattutto i più giovani.
 Il 10% dei millennials (18-34 anni) non vuole avere rapporti con persone di altre età. Il 5,6% si fa visitare solo da un medico…

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Prospettive sulla malattia di Alzheimer

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Alto Garda & Ledro news

Venerdì 20 maggio alle ore 20.30 nella sala ex biblioteca in viale Damiano Chiesa a Riva si tiene un nuovo incontro pubblico promosso dal Centro di ascolto Alzheimer gestito da «Città di Riva» Apsp sul tema «Invecchiamento normale e patologico. Prospettive sulla malattia di Alzheimer». Relatore è il prof. Pierlugi De Bastiani, neurologo, direttore del Centro di riabilitazione neurocognitiva CeRin di Rovereto e docente alla facoltà di Scienze cognitive dell’università di Trento.

La serata costituirà anche l’occasione per far conoscere l’attiverà del Centro per la riabilitazione neurocognitiva che ha l’obiettivo di fornire servizi clinici essenziali alla comunità, preparare professionisti nelle discipline cliniche delle neuroscienze cognitive in grado di fornire tali servizi, effettuare ricerche nell’ambito delle neuroscienze per comprendere i meccanismi alla base delle patologie neurocognitive e il loro recupero in seguito ad interventi di neuro-riabilitazione.

Il prof. De Bastiani, neurologo esperto sui temi della demenza, nel corso della…

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Gli anziani fragili in ospedale: è ora di pensare a nuove soluzioni

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Girolamo Sirchia

Il ricovero ospedaliero di per sé è un fattore di aggravamento delle condizioni di salute delle persone anziane fragili e delle loro disabilità. E’ quindi necessario che queste persone, quando necessitano di ricovero ospedaliero (avendo escluso ogni altra alternativa di cura), vengano prese in carico da geriatri e da personale addestrato alle cure olistiche e si prendano in considerazione cure palliative. I POT (Presidi Ospedalieri del Territorio o Ospedali di prossimità) sono verosimilmente gli Ospedali più adatti ad accogliere questi pazienti.

(Boyd KJ, Murray SA. Worsening disability in older people: a trigger for palliative care. BMJ 2015;350:h2439)

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FotoNewsLivorno

SVS PUBBLICA ASSISTENZA GESTIRÀ IL SERVIZIO PRONTO BADANTE DELLA REGIONE TOSCANA – dal 1 marzo la SVS con operatore socio assistenziali e volontari gestirà il servizio pronto badante della Regione Toscana per la zona di Livorno che comprende i Comuni di Livorno, collesalvetti e capraia isola. Siamo l’unica associazione di volontariato presente fra tutti i soggetti del terzo settore che coordineranno l’attività nelle varie zone della Regione. Per accedere al servizio occorre comporre solo ed esclusivamente il numero verde di Regione Toscana. L’attività nel territorio di Livorno e’ svolta in partenariato con altri soggetti fra i quali l’AMNIC. Ancora un bel risultato che pone SVS PUBBLICA ASSISTENZA sempre più vicina ai bisogno socio assistenziali dei cittadini.

Dopo la telefonata al Numero verde 800 59 33 88 (attivo da lunedì a venerdì dalle ore 8 alle 18 ed il sabato dalle ore 8 alle 13), un operatore autorizzato interverrà direttamente presso…

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strutture sequenziali per anziani o programmi rivolti a loro

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Le dimissioni protette accompagnano la persona e la sua famiglia nel passaggio dall’istituzione ospedaliera al domicilio, valutando l’eventuale e residua possibilità di una permanenza in struttura residenziale. Il rientro a domicilio deve essere considerato il luogo privilegiato dove la persona può curarsi e recuperare in modo totale o parziale l’autosufficienza, superata la fase di acuzie e post-acuzie della malattia e l’eventuale periodo di intervento intensivo o estensivo in area riabilitativa. Anche nei casi in cui la malattia cronicizza e determina la perdita permanente, totale o parziale dell’autonomia, l’ambiente domestico costituisce sempre un forte stimolo ad affrontare la malattia e a recuperare nel modo migliore la funzionalità sia sul piano fisico che psichico. Le cure al domicilio rappresentano un’opportunità importante per il recupero della salute di persone colpite da una malattia invalidante; nel contempo tuttavia il rientro nella propria abitazione spesso è fonte di gravi disagi e difficoltà: si passa da un’assistenza sanitaria di 24 ore su 24 ad un livello assistenziale ridotto nel tempo e nell’intensità, con forte carico sulla famiglia e sul MMG. Anche laddove sono disponibili servizi sanitari e sociali a domicilio, spesso i familiari devono affrontare difficoltà burocratiche, problemi organizzativi, tempi di attesa prolungati che provocano discontinuità assistenziale. All’interno di questo sistema la comunicazione e l’integrazione tra il MMG e il medico ospedaliero specialista assume un ruolo centrale nella gestione del paziente. In un momento così delicato come quello delle dimissioni dall’ospedale, i professionisti ed i servizi devono affiancare il cittadino ed i suoi familiari per definire insieme il percorso maggiormente idoneo a soddisfare i residui bisogni di salute e di autonomia funzionale. Ad oggi tuttavia non sono presenti protocolli operativi che vengono applicati in modo uniforme in tutte le realtà italiane. Laddove queste procedure sono presenti si assiste a modalità operative profondamente diverse tra le realtà regionali e all’interno della stessa regione tra le realtà locali. L’intento di questa raccolta è quello di ricercare buone prassi a livello nazionale che affrontino le problematiche delle dimissioni difficili. Perché buone prassi di percorsi di dimissione ospedaliera? Perché le “buone prassi” identificano percorsi per costruire correttamente il processo di dimissioni protette, con le caratteristiche sopra esposte e che tentano, in uno scenario di interventi frastagliati e non omogenei, di rispondere alla complessità dei bisogni delle persone.

dimissioni protette dall’ospedale….il contesto italiano

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L’invecchiamento della popolazione registrato negli ultimi decenni rappresenta un fenomeno demografico che interessa l’intera popolazione mondiale ed in particolare i paesi industrializzati. Questo fenomeno risulta particolarmente evidente in Italia, dove nei prossimi quarant’anni la popolazione ultrasessantacinquenne da sola rappresenterà circa un quarto della popolazione residente. L’invecchiamento demografico comporta un aumento significativo del numero di persone affette da patologie croniche come malattie cardiovascolari, demenza, osteoporosi, diabete e bronco pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO); queste patologie presentano inevitabilmente un aumento di prevalenza all’aumento dell’età ed incidono fortemente sulle condizioni di disabilità e fragilità dell’anziano. Negli ultimi decenni, nella realtà italiana, si è assistito a tre fondamentali fenomeni che hanno creato una situazione di complessità nell’assistenza alla persona non autosufficiente al momento della dimissione ospedaliera. Il primo di questi fattori riguarda le politiche sanitarie adottate nelle scelte concernenti i tempi di ricovero e le dimissioni: da una politica basata sul lungo ricovero con finanziamento delle prestazioni ospedaliere dal Servizio Sanitario Nazionale sulla base dei giorni di ricovero , si è progressivamente passati ad una politica che riduce in maniera sostanziale i giorni di degenza legati alla cura dell’acuzie della malattia, in una logica di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica. In tale contesto all’atto della dimissione ospedaliera, il paziente si trova in una condizione di piena convalescenza che prevede la somministrazione di cure mediche, assistenziali e riabilitative. Il secondo fattore rappresenta quindi la complessità del soggetto che passata la fase dell’acuzie è in condizione di fragilità. La fragilità rappresenta una condizione di maggior rischio di eventi avversi che sono causa del progressivo manifestarsi di disabilità e non autosufficienza dovuta all’invecchiamento. Concorre altresì, a determinare la condizione di fragilità la mancanza di una rete famigliare e sociale di assistenza. Il terzo fattore è costituito dai mutamenti sociologici della struttura familiare. Il disgregarsi del modello patriarcale, specialmente in Italia, ha portato ad uno scenario con famiglie difficilmente in grado di accogliere e curare una persona anziana, che al rientro al domicilio, necessita di assistenza sociosanitaria e sociale continuativa. In tale contesto, la risposta informale legata alla dimissione ospedaliera di soggetti fragili è stata prevalentemente affidata alla creatività progettuale del nucleo familiare con soluzioni interne di assistenza legate alla scelta di un componente come care giver, alla rotazione di familiari per l’assistenza, al sostegno di un vicino, amico o volontario per assolvere i compiti di cura o, in mancanza di tali condizioni, al ricorso a soluzioni alternative legate alla ricerca di figure professionali quali le assistenti familiari o alla completa delega dell’organizzazione delle funzioni al privato sociale. La problematica della dimissione ospedaliera di pazienti fragili e con bisogni assistenziali complessi che necessitano di continuità delle cure, rappresenta una condizione alla quale il sistema sociosanitario deve provvedere offrendo risposte appropriate; tale condizione è stata inserita come fenomeno da fronteggiare, nel Piano Sanitario Nazionale 2011-2013 (approvato dalla Conferenza Unificata Stato Regioni e ora all’attenzione della Corte dei Conti), dove vengono individuati tra i pazienti che necessitano maggiormente di continuità assistenziale assieme ai pazienti cronici, “i pazienti post-acuti dimessi dall’ospedale che corrono rischi elevati, ove non adeguatamente assistiti, di ritorno improprio all’ospedale; essi necessitano di competenze cliniche e infermieristiche, con l’affidamento ad un case manager, in una struttura dedicata o a domicilio”. La risposta istituzionale a tale situazione di complessità si identifica nell’erogazione alla famiglia, da parte dei servizi territoriali, dell’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), che rappresenta, come evidenziato dall’Organizzazione Mondale della Sanità, la possibilità di fornire a domicilio del paziente quei servizi e quegli strumenti che contribuiscono al mantenimento del massimo livello ottenibile di benessere e salute. L’ADI può essere infatti definita come l’insieme coordinato di prestazioni di carattere sanitario integrate con interventi di natura socio-assistenziale erogate a domicilio e rivolte a soddisfare le esigenze di anziani, disabili e di pazienti affetti da malattie cronico-degenerative, parzialmente o totalmente non autosufficienti, che necessitano di un’assistenza continuativa nella cura e nella riabilitazione. Il servizio prevede prestazioni erogate in base ad un piano di assistenza individualizzato attraverso la presa in carico multidisciplinare del paziente con il coordinamento del medico di medicina generale, di medici specialisti, di terapisti della riabilitazione, di personale infermieristico, di assistenti domiciliari e di assistenti sociali e sanitari. Il servizio di ADI può essere richiesto dal medico di medicina generale, dal responsabile del reparto ospedaliero in vista delle dimissioni, dall’assistente sociale o dalla famiglia del soggetto. Gli interventi programmati di ADI tuttavia non sono presenti in modo omogeneo in tutto il territorio nazionale e, anche laddove il servizio venga offerto a pieno regime, spesso rischia di perdere efficacia e appropriatezza se non viene basato su una valutazione condivisa (con relativo piano di assistenza) tra il personale del reparto dimissionario e gli operatori del territorio